Il quartiere “Fundrisi”
Il XIV secolo, per la Sicilia, fu un’epoca caratterizzata da lotte sanguinarie tra Re Martino D’Aragona ed alcuni baroni a lui ribellatisi. In seguito alla vittoria del Re, nel 1396 furono rasi al suolo i borghi feudali di Fundrò e Rossomanno per mano del Duca di Montblanc padre di Re Martino di Sicilia, come rappresaglia contro i Degli Uberti, proprietari dei feudi, che si erano alleati con i Chiaramonte, appartenenti alla fazione perdente.
I superstiti di Fundrò vennero deportati a Castrogiovanni nella zona dell’odierno quartiere di Fundrisi, che per ubicazione era il punto più isolato ed inospitale dell’altopiano ennese, i superstiti di Rossomanno vennero allocati nella zona del Pisciotto.
Gli abitanti di Fundrisi detti “Funnurisani” vissero per secoli emarginati dal resto della città confinati nel loro “quartiere-ghetto” ove erano dediti ai lavori più umili ed era loro impedito persino di entrare a Castrogiovanni.
Tale isolamento forzato fece sì che gli abitanti di Fundrisi potessero mantenere anche delle differenze dialettali con il resto della città che si notano ancora oggi, nonché connotazioni culturali proprie basate essenzialmente sul modo di vivere nel borgo e sui mestieri in esso praticati. Probabilmente per qualche tempo ci fu anche qualche differenza nell’aspetto fisico tra i Funnurisani e i Castrogiovannesi dovuto al fatto che gli antichi abitanti di Fundrò erano di origine normanna.
Verosimilmente gli eventi religiosi del periodo pasquale della “Paci” e della “Spartenza” sono legati ad una interruzione istituzionalizzata di tale isolamento che durava dalla domenica di Pasqua a quella successiva. Durante questa settimana anche gli abitanti di Fundrisi potevano circolare liberamente per la città fino al suo termine in cui tutti tornavano a vivere entro i propri confini.
“Li funnurisi su’ na cuntrata, unni un si vidi mà lusciu di luna, la strata iè fitusa e malandata e sunu ancora cu li lampiuna”. Così ancora veniva descritto il quartiere in un giornale locale degli anni venti secondo quel che ci racconta Gaetano Vicari nel suo libro: “Conoscere Enna attraverso la storia dei quartieri” (Editrice Il Lunario, Enna 2012)
Tale stato d’isolamento, di fatto, durò fino a quando Castrogiovanni nel 1926 fu elevata a capolugo di Provincia riacquistando l’antico nome di Enna. In quel periodo infatti la distinzione sociale ed etnica cominciò ad attenuarsi fino a scomparire del tutto. E tale processo fu sicuramente agevolato dal fatto che, grazie alla ampia disponibilità di aree fabbricabili, parecchi edifici pubblici sorsero nella zona occidentale della città a ridosso del quartiere “proibito”.
Il quartiere Fundrisi oggi, non essendo stato aggredito dalla speculazione edilizia se non in maniera marginale, si presenta essenzialmente immutato nell’assetto urbanistico, le strade al suo interno sono strette e tortuose e gran parte delle abitazioni sono le vecchie case ristrutturate molte delle quali mantengono ancora, al loro interno, “bagli” e “catoi”. Molti punti del quartiere offrono scorci panoramici incantevoli.
Quel luogo che una volta era un ghetto per le popolazioni deportate oggi è una ricchezza per la città e custodisce una parte importante della nostra memoria storica. E’necessario preservarlo e valorizzarlo.
Michele Pirrera