
Da Enna a Castrogiovanni: la “grotta dei Santi” e gli albori del cristianesimo nell’Umbilicus Siciliae.
Nelle grandi città costiere della Sicilia la diffusione del Cristianesimo fu precoce in quanto l’evangelizzazione seguì le rotte del traffico marittimo. Gli Atti degli Apostoli accennano allo sbarco di San Paolo a Siracusa durante il suo pellegrinaggio nel mediterraneo: “Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni”.
In Sicilia, le prime notizie agiografiche risalgono alla metà del III sec. d.C. durante la breve egemonia dell’imperatore romano Decio, il quale intraprese feroci persecuzioni in danno dei Cristiani nell’Isola. In tale contesto furono martirizzate Agata da Catania nel 251 d.C. e, nel 304 d.C., Lucia da Siracusa, il cui culto è testimoniato dal ritrovamento di un’iscrizione funeraria del IV sec. d.C. che ricordava la vita di una donna di nome Euschia, la quale “morì nella festa della mia Santa Lucia”.
Con l’Editto di Milano del 313 d.C., i due Augusti dell’Impero romano, Costantino per l’Occidente e Licinio per l’Oriente, proclamarono finalmente la libertà di culto, equiparando il Cristianesimo a tutte le altre religioni. Così testualmente fu prescritto: “Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità”.
Le zone interne dell’Isola furono meno permeabili al nuovo culto che si cominciò a diffondere solo fra il III ed il IV sec. d.C., coesistendo più o meno pacificamente con la più radicata cultura pagana.
Secondo una leggenda molto diffusa ma poco plausibile, la città di Enna sarebbe stata evangelizzata da San Pancrazio, il quale, dopo il 40 d.C., fu Vescovo di Taormina, ove venne assassinato nel 98 d.C.. Pancrazio, nato e cresciuto ad Antiochia di Siria, da giovane, incontrò Gesù e sarebbe stato battezzato da San Pietro, che lo ordinò Vescovo. Effettivamente, è possibile che San Pancrazio si sia recato a Enna nel corso del I sec. d.C. ma appare poco plausibile, già a quell’epoca, una completa evangelizzazione della città, ancora legatissima al culto della doppia dea Cerere / Proserpina che si perpetuò almeno fino al 1412 se è vero, come è vero, che in quell’anno la municipalità ennese, al fine di eradicare definitivamente il culto pagano, si adoperò per acquistare a Venezia la statua lignea della Madonna che va sotto il titolo “della Visitazione”, fissandone per il 2 luglio i festeggiamenti (data coincidente con la celebrazione del millenario culto agrario demetriaco).
Invero, bisognerà aspettare almeno il III – IV sec. d.C. perché la religione cristiana si diffondesse in maniera significativa.
Nella città di Enna la più antica testimonianza superstite del culto cristiano è databile al IV sec. d.C. allorché nella valle Santa Ninfa, tra il castello di Lombardia e la rocca di Cerere, venne edificata una chiesetta absidata, scoperta durante le ricerche archeologiche del 2008, identificata grazie alla presenza, negli strati di crollo, di intonaci dipinti figurati.
L’esame stratigrafico del sito riporta alla prima età bizantina e ha restituito alcuni frammenti di ceramica sigillata databili tra la fine del VI e l’inizio del VII sec. d.C., rinvenuti insieme ad una coppia di orecchini in faïence con anima in bronzo, probabilmente parte del corredo funebre proveniente da alcune tombe bizantine scavate sul banco di roccia sovrastante.
La chiesetta paleocristiana, di cui oggi sono parzialmente visibili le mura di fondazione, venne addossata ad una parete rocciosa sulla quale erano scavate una ventina di edicolette votive di epoca ellenistica (pertinenti al culto di Cerere), che vennero obliterate dalla nuova struttura cristiana. Addirittura, alcune edicolette vennero contrassegnate da una croce al fine evidente di “esorcizzare” il culto pagano ivi praticato.
Il toponimo del sito “Santa Ninfa” potrebbe derivare più che dal “titolo” della chiesetta, dalla vicina “Fontana delle Ninfe” di epoca pagana, che ancora oggi attende di essere portata alla luce. Il toponimo deriverebbe, pertanto, dal termine greco Nynphe (giovane donna) che indicava divinità femminili minori di boschi, fiumi, monti e laghi.
Tale preziosa scoperta archeologica segna il “dies a quo” a partire dal quale può considerarsi avviata la lenta ma inesorabile conversione al cristianesimo della città.
In età tardoantica i luoghi un tempo consacrati a Cerere continuarono a mantenere una destinazione sacrale, forse legata a rituali funerari in considerazione dei numerosi sepolcri di età bizantina rinvenuti nei paraggi.
La tipica architettura funebre di età tardo imperiale e bizantina fu quella della tomba cosiddetta ad “arcosolio”, diffusissima nelle catacombe cristiane, costituita da un sarcofago scavato nella roccia sormontato da un arco, forse simboleggiante il sole nascente e quindi la rinascita del defunto. Alcuni di tali sepolcri sono ubicati sotto la rupe di Cerere nonché sotto l’attuale cimitero di Enna, in contrada Ve’ Nova.
Durante la prima metà del IX secolo d.C., a causa delle incursioni islamiche, questa parte dell’Acropoli venne fortificata con una torre e un muraglione a doppia cortina costruito utilizzando le pietre della chiesetta paleocristiana che all’epoca doveva già essere in disuso. A tale periodo dovrebbe risalire l’edificazione, a limite della “Via Sacra”, proprio sotto il tempio di Cerere, di una porta di ingresso alla città, di cui Padre Giovanni dei Cappuccini riferisce il nome “Porta Pozzillo” (forse ascrivibile al termine siciliano “pizziddu” = piccola punta, forse per meglio descrivere l’asperità dei luoghi), che nella metà del XVIII sec. era “quasi intera” ma “inaccessibile per la sua precipitevole discesa”, come riferito dallo storico Vito Amico nonché dallo stesso Padre Giovanni.
Fu proprio in questo tribolato periodo che visse Sant’Elia, al secolo Giovanni Rachetta, nato a Enna verso l’823 d.C.. Egli diede certamente forte impulso alla evangelizzazione della città conducendo una vita ascetica improntata ai rigidi canoni del monachesimo basiliano di rito greco – bizantino.
Elia condusse una vita itinerante, piena di avventure, fondazioni di monasteri e miracoli; fu costretto ad abbandonare la sua città natale, assediata dai Saraceni e da loro conquistata nell’859; cadde schiavo nelle loro mani e venduto in Africa. Riuscì poi a liberarsi e si mise a predicare il Vangelo a rischio della propria vita; costretto a fuggire, si rifugiò in Palestina, dove ricevette l’abito monastico dal patriarca di Gerusalemme, Elia III, che gli impose il proprio nome.
Durante i 264 anni di dominazione islamica la fiamma della religione cristiana non si spense mai del tutto proprio grazie ai monaci basiliani, i quali si ritirarono in luoghi isolati osservando un rigido eremitaggio, dando vita a forme artistiche di rara bellezza al chiuso di grotte che vennero trasformate in suggestive chiese rupestri immerse nella natura. Nel periodo islamico il nome dell’antica città di Enna, già denominata dai romani Castrum Hennae (fortezza di Enna), venne corrotto dalla nuova lingua in Qaṣr Yānī onde, per successivi errati accostamenti, Castrum Iohannis e poi Castrogiovanni.
Nelle pendici della rocca ennese, proprio lungo la “Via Sacra” che conduceva al tempio di Cerere, si rinviene un raro e prezioso esempio della vita eremitica medievale.
Nel pendio è possibile ammirare diversi grandi monoliti, alcuni dei quali trasformati in palmenti. Il più grande di tali monoliti venne modellato e rimodellato dall’antica mano dell’uomo che ne ricavò, nel Neolitico, una spaziosa caverna, oggi denominata genericamente “grotta dei Santi”, utilizzata come luogo di culto da ignoti monaci basiliani che hanno qui lasciato flebile traccia della loro silenziosa esistenza. All’interno di essa si trovano le più antiche icone sacre della città, riconducibili al monachesimo basiliano ampiamente diffuso a Enna, come testimoniato dal manoscritto di Padre Giovanni dei Cappuccini e dai dipinti del Duomo, che raffigurano diversi Santi dell’Ordine basiliano, indicati come “ennesi”. Verosimilmente, la grotta venne abitata già prima della dominazione islamica da monaci eremiti, veri poeti della fede, i quali si cimentarono nell’arte figurativa diretta a testimoniare, attraverso le immagini dei santi, la verità del messaggio evangelico. Le pareti interne dovevano essere magistralmente affrescate con numerose splendide icone ad altezza naturale; purtroppo, oggi sono conservate meno della metà delle rappresentazioni pittoriche che denotano una buona policromia ottenuta attraverso colori di origine minerale. L’epoca di realizzazione degli affreschi è ascrivibile al XII sec. d.C. ma non è esclusa la presenza, sotto lo strato pittorico, di dipinti più antichi vista la presenza di almeno tre strati di colore sovrapposti: analisi approfondite potrebbero riservare non poche sorprese.
Alcune figure insistono sulla parete di sinistra, altre tre su un’ampia nicchia frontale pseudo-absidale separata, mediante una colonna rupestre, da altro spazio pseudo-absidale a destra. Le tre icone che occupano l’abside della chiesetta rupestre, a partire da sinistra, raffigurano la Madonna di Odigitria, patrona della Sicilia, detta anche Madonna del (buon) cammino, con in braccio il Bambino Gesù. Trattasi di una icona tipica dell’arte bizantina il cui originale sarebbe stato dipinto da San Luca Evangelista ed andato disperso nel 1453, allorquando Costantinopoli venne conquistata dagli Ottomani. Purtroppo, le condizioni del dipinto sono pessime. Accanto alla Vergine, in posizione centrale, si scorge ormai a malapena lo sguardo benevolo e malinconico del Cristo Pantocratore (che può tutto, onnipotente). Tale appellativo, utilizzato in età ellenistica come epiteto di varie divinità greche (Dioniso, Ermete, Ade), divenne, tra i cristiani orientali, attributo di Cristo quale signore del mondo e giudice della fine dei tempi. Alla destra del Cristo troviamo l’icona di San Nicola, così come si evince dall’iscrizione latina “S. Nicolau(s)”. L’accoppiamento della figura bizantina del Santo con l’iscrizione latina, anziché greca, collocherebbe l’esecuzione dell’opera al periodo normanno (1161-1198 d.C.).
In Sicilia il culto di San Nicola venne introdotto dal Gran Conte Ruggero d’Altavilla, tanto da diventare uno dei santi più popolari del Meridione, protagonista di diverse leggende riguardanti miracoli a favore di poveri e defraudati.
È plausibile che la cappella fosse dedicata proprio a San Nicola, primo patrono della città di Enna, la cui figura occupa posizione di rilievo insieme a quelle del Cristo e della Madonna.
Nella parete laterale di sinistra si stagliano, più o meno nitidamente, altri sei pannelli raffiguranti diversi Santi di dubbia identificazione. In particolare, nel primo pannello è appena visibile l’estremità inferiore di un abito. Il secondo pannello, appena leggibile, potrebbe raffigurare i Santi Cosma e Damiano. Il terzo pannello, molto rovinato, raffigura un Santo Monaco benedicente. Nel quarto pannello è raffigurato un anziano aureolato di giallo, vestito di un manto rosso, con la mano destra benedicente e con la sinistra reggente una croce doppia, identificabile con San Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli. Il quinto pannello raffigura un giovane Santo diacono, aureolato e benedicente. Il sesto pannello raffigura una Santa benedicente coronata, che potrebbe identificarsi con Santa Caterina d’Alessandria, martire cristiana, che la tradizione vorrebbe “figlia di re”. Questi ultimi due pannelli sono i migliori conservati mentre tutti gli altri versano in stato di degrado e necessitano di urgenti interventi di restauro. Nel 2012, venne intrapreso un primo restauro conservativo degli affreschi in previsione di ulteriori interventi mirati ad una più completa tutela e valorizzazione del sito che, ancora oggi, è privo di adeguata segnalazione turistica, sebbene ubicato in area demaniale e facilmente raggiungibile a piedi.
Occorrerebbe, inoltre, che le competenti autorità intraprendano un’apposita campagna di scavi archeologici al fine di accertare il periodo ed il tipo di frequenza del sito.
Purtroppo, lo stato di deterioramento degli affreschi è molto preoccupante ed è indispensabile intervenire con assoluta urgenza al fine di evitare che lo sguardo amorevole dei Santi ennesi si spenga per sempre nell’indifferenza collettiva…questa volta la nostra preghiera è per essi stessi, affinché le loro sacre immagini possano sopravvivere all’incuria dell’uomo e all’oblio del tempo.