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A Santa Cruci” e Maria
Devozioni agricole nell’entroterra siciliano.
Nel giorno della festa dell’Esaltazione della Croce, in cui la città di Enna rivive una delle tradizioni religiose e folkloriche più secolari, la festa do Signuri di Papardura (o Crocifisso ritrovato) mi piace allargare lo sguardo e cogliere profonde analogie che legano la nostra città a tanti centri dell’entroterra siciliano in cui si evidenzia un particolare connubio tra i titoli patronali della Vergine e il SS. Crocifisso: appare singolare che, dove si celebra il patronato di Maria per la città, c’è un culto sentitissimo per il SS. Crocifisso.
A legarli non è solamente il fatto che Maria è la Madre di Cristo, e che Ella riconduce direttamente a Lui, ma anche la vocazione cerealicola e agricola di queste terre.
Lo è per Enna certamente: Fra Giovanni de Cappuccini annotava, nella sua raccolta storica, che proprio la festa della Madonna della Visitazione e del SS. Crocifisso di Papardura erano quelle più sentite dalla cittadinanza e organizzate con grande solennità e concorso di popolo. Il SS. Crocifisso Ritrovato di Papardura si lega a miracoli e prodigiosi segni come quello del lume sempre ardente e del suo ritrovamento, della mula “addirupata”, della terribile siccità da cui nacquero le “cudduredde”. Non solo: due feste agricole, l’una quella patronale in piena mietitura, l’altra alla fine dell’estate. La prima promossa dagli Ignudi, eredi dei contadini che, narra la leggenda, trasportarono il pesante silacro della Vergine in città nel 1412, mentre l’altra dai Massari, i contadini dei mansi. Feste di grano, feste di terra.
E’ così anche per Mazzarino, che in questi giorni ricorda la Madonna del Mazzaro e che a Maggio onora il Crocifisso dell’Olmo, chiamato così per via del prodigio dell’olmo cresciuto da un bastone per costringere alla fuga predoni che volevano trafugare il Cristo. Alla Madonna del Mazzaro si lega la tradizione de “A dumannaredda” e la questua di voti in natura quali grano, fave, sementi. Al Crocifisso, in piena primavera, si lanciano collane di margherite gialle, “sciuri di maiu”.
Ci sono anche i due grandi “alberi della vita” do Trunu e U Signuri di li Fasci, rispettivamente di Barrafranca e Pietraperzia, centri legati alla Madonna della Stella e della Cava .
U Trunu barrese, portato in processione tra le vrame dei fedeli che vi si accalcano ai piedi la sera del Venerdì Santo, ha incastonato al suo interno il Crocifisso Miracoloso, anch’esso ritrovato da un contadino che arava il terreno all’interno di una lastra di pietra, con ai piedi due torce sempre accese, tradizione simile a quella ennese. Nella stessa città si onora la Madonna della Stella, festa tipica per la sfilata dei “ritini”, ossia il trasporto nella chiesa della Madonna del grano offerto in obolo, che viene fatto tramite muli e cavalli bardati a festa con variopinti pennacchi e sonagliere .
Al ” Signuri” dalle candide fasce rannodate ai suoi piedi di Pietraperzia, tra i tanti scolpiti dal Pintorno, meglio conosciuto come Fra Umile di Petralia, si legano tanti prodigi. A Lui si accosta la Madonna della Cava, chiamata così proprio perché un affresco su pietra della Vergine ritrovato grazie al sogno di un muto che recuperò la parola.
Anche il centro diocesano di Piazza Armerina, votato alla Madonna delle Vittorie, vessillo normanno ritrovato , mostra un culto particolare per il Crocifisso del Venerdì Santo, così come a Caltanissetta che onora l’Immacolata,sua compatrona e il suo Crocifisso Nero, anch’esso ritrovato in una grotta all’interno del quartiere “Signore della Città” da due raccoglitori di erbe amare.
Binomio inscindibile infine anche sul mare, a Gela, con la Madonna dell’Alemanna e il Crocifisso dell’11 Gennaio, legato ai marinai. La Madonna fu ritrovata da un contadino mentre arava la terra e si accorse che i suoi buoi non proseguivano più; pensando che si trattasse di un ostacolo proveniente da qualche corpo duro sottostante il terreno, il contadino si mise a scavare, anche con la segreta speranza di trovare un tesoro nascosto, che era in realtà una tavola sulla quale s’intravvedeva una immagine dipinta, quella della Beata Vergine.
Questi culti si rannodano alla terra, al substrato agricolo dell’entroterra siciliano, a ritrovamenti e prodigi.
I campi, il grano, il Cristo: seppellimento, morte, vita i tre elementi che dietro il biondo grano celano la metafora dell’esistenza di tutti gli esseri umani, chiamata già dalla sua comparsa alla morte e a cui si aggrappa la speranza di una vita eterna oltre i confini naturali della razionalità. Il chicco di grano, infatti, matura e germoglia quando muore, producendo la spiga di grano maturo.
Un simbolo, quello del chicco di grano, che lo stesso Cristo ha riportato in una delle sue parabole più profonde e prefigurazione dell’esito della sua vita, la croce, oltre che di ciascuno di noi chiamato alla morte (non solo fisica) per risorgere in Lui: “se il chicco di grano muore produce molto frutto”.
Il chicco di grano, la sua morte nelle viscere della terra, la rinascita rigogliosa nelle spighe, la mietitura: elementi cari ad ogni substrato religioso che si rispetti e che, nell’area mediterranea, e in queste
e località sopra descritte, trovano riscontro come fil Rouge tra i culti politeisti e quelli abramitici.
Cristo, il chicco di frumento che muore e produce frutto: Maria, la portatrice del Pane di Vita, prodotto del grano, chiamato a nutrire l’uomo in eterno in un’offerta gradita a Dio.
I culti mariani e al SS. Crocifisso in questi centri dell’entroterra, così simili, così intrecciati, dimostrano come i nostri padri abbiano condensato in essi sorti, speranze, preghiere unanimi per il raccolto, per il loro sostentamento, per la loro vita.
Il grano (Cristo) mietuto nel campo (Maria) e sacrificato, tranciato di netto da un colpo di falce, la Croce, diventa pane; così come i frutti della terra che vengono raccolti di modo che ci si possa nutrire.
Le feste del Cristo Crocifisso e di Maria nell’entroterra siciliano sono così feste di propiziazione e affidamento, trasformazione e di rinascita, legge eterna della natura che si ripete.