
ROSARIO LIVATINO: VOCE DI FEDE E GIUSTIZIA
“Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti ma credibili.”
Rosario Angelo Livatino nasce a Canicattì, uno dei centri più organizzati del potere mafioso, il 3 ottobre 1952, figlio dell’Avv. Vincenzo Livatino e di Rosalia Corbo.
Sin da piccolo mostra un intenso interesse nello studio e si impegna attivamente nell’Azione Cattolica, consegue la maturità presso il liceo classico Ugo Foscolo con il massimo dei voti, per poi iscriversi alla facoltà di giurisprudenza di Palermo, in cui si laurea a soli 22 anni. Fa il suo ingresso in magistratura nel 1978 e dall’anno seguente ricopre il ruolo di sostituto procuratore. Dal 1989 è giudice a latere.
Amici, colleghi e conoscenti lo ricordano come un uomo affabile e modesto, quanto fermo nelle sue idee e instancabile nel lavoro, ma soprattutto incorruttibile.
Per la profonda conoscenza che ha del fenomeno mafioso gli vengono affidate questioni molto delicate, firma sentenze su sentenze, toccando con mano la “tangentopoli siciliana” ed entrando così nel mirino di Cosa Nostra.
Il 21 settembre 1990 nella strada per il Tribunale di Agrigento, mentre si reca al lavoro, viene raggiunto da un gruppo di quattro sicari e brutalmente ucciso a soli 38 anni.
Il giudice Livatino è stato per l’intera Italia un esempio di eroismo, guidato dalla fede e da una profonda religiosità, per questo è stato beatificato il 9 maggio 2021 nella cattedrale di San Gerlando ad Agrigento.
Giorno 15 Marzo 2023, la camicia a quadri insanguinata, indossata al momento dell’agguato e ormai diventata reliquia, è stata esposta ai ragazzi del Liceo Classico “Napoleone Colajanni” e ai rappresentanti delle pubbliche istituzioni. Hanno tenuto l’incontro don Gero Manganello; don Giacomo Zangara; il Dott. Massimo Palmieri, Procuratore della Repubblica di Enna; Dott. Cesare Zucchetto, Presidente del tribunale di Enna; Dott. Giuseppe Milano, Presidente dell’ordine degli avvocati e la Preside Maria Silvia Messina.
È stato “giudice bambino” sacrificato sull’altare della tracotanza mafiosa, o almeno così lo definì il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga: un magistrato che, a suo parere, non poteva portare avanti indagini così delicate ed impegnative, per la giovane età e poca esperienza. Parlò invece di “piccolo giudice” l’insegnante di greco e latino, che aveva seguito il suo percorso di formazione in riferimento alla piccolezza secondo il Vangelo.
«Il giudice deve offrire di se stesso l’immagine di una persona seria, equilibrata e responsabile. L’immagine di un uomo capace di condannare, ma anche di capire, educare i colpevoli per dare alla legge un’anima. Scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare… è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio: un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio».
In Livatino emerge continuamente una coscienza cristiana e civile, considera necessarie per il corretto funzionamento della società: la religione come guida spirituale e la legge come misura dell’agire dell’uomo. Il giudice non deve fare distinzione tra condanne, ma considerare tutti come vittime, coloro che hanno sbagliato devono essere educati e reinseriti nella società e chi ha subito deve ottenere giustizia.
La generosità e l’impegno nel perseguire le sue convinzioni si evincono dalla decisione di non prendere con sé una scorta, per non mettere a rischio le vite di altri uomini, così la volontà di non sposarsi, per non far rimanere la moglie vedova e i figli orfani.
Ha detto prima che gli sparassero il colpo fatale: “Picciotti, che cosa vi ho fatto?”, avvilito dall’ignoranza dell’uomo, e dalla sua speranza di giustizia rimasta delusa. All’arrivo dei soccorsi non c’è altro che un corpo morto, insieme all’agenda persa durante l’aggressione, con la sigla STD, su cui a lungo si è indagato per poi risalire alla formula: “Sub Tutela Dei” “Sotto la protezione di Dio”.
Livatino ha portato i suoi stessi uccisori, denunciati e riconosciuti da Pietro Nava, a convertirsi e costituire un valido aiuto nel processo di beatificazione, lasciando un esempio morale e di coraggio nella lotta contro la mafia e l’ingiustizia.
Alessia Navarra
Paolo Perticaro