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La Vara della Madonna è un monumentale baldacchino di legno intagliato e rivestito con lo zecchino, viene chiamata, appunto, Nave d’oro. Scipione di Guido, che la scolpi nel 1590, aveva chiaro il progetto e le fattezze che avrebbe dovuto assumere il fercolo: doveva svilupparsi in armonia con il simulacro della Patrona posto al centro della struttura! Un insieme che doveva distinguersi dalle altre macchine processionali e dai carri trionfali in uso in quel periodo in Sicilia.
Abbiamo diverse testimonianze, una fra tutte il quadro esposto all’ex museo Alessi in cui viene raffigurata una delle prime processione della patrona. È messo lì come a ricordarci qual è il punto d’origine, come una mano tesa che viene dal passato. Dapprima gli angeli furono verniciati con splendidi colori dai contrasti policromi e nel 1600 Leonardo Lupo, allievo di Scipione di Guido, li restaurò ma poco dopo si penso di sostituirli con altri d’argento.
Per questo motivo ne fu ordinato uno a Palermo al maestro Michelangelo Merendino, ma nessuno rimase soddisfatto del risultato, per cui l’argentiere Sebastiano Lancello ne esegui un secondo nel 1667. La diversità con il primo era così evidente che fu abbandonato il progetto di realizzare un fercolo tutto d’argento, per altro molto costoso, e la Collegiata pensò di utilizzare il metallo già profuso per altri oggetti.
Solamente nel 1732 il grande fercolo ebbe un restauro completo che fu affidato all’intagliatore Paolo Guglielmaci e all’indoratore Gregorio Grimaldi.
Uno dei rifacimenti della zecchinatura in oro risale al 1957 ad opera del maestro Vincenzo Fedele, nel 1989 fu rinforzata la struttura portante degli angeli, nel 1995 e nel 2019 fu ripresa la zecchinatura.
I più anziani, fino alla mia generazione, possono ricordare che non oltre agli anni 2000 la Nave d’oro non era tenuta in mostra permanente come ora ma si trovava, pur sempre nello stesso posto, dietro il quadro che raffigurava Sant’Antonio. Qualche giorno prima, intorno al 25 giugno, veniva uscita e posta sulla navata laterale, come si vede nella foto dell’apertura.
Mi ricordo nitidamente che era coperta da un telo e mi colpiva questa magnificenza che usciva dalla sua nicchia presa a mano da pochi confrati in quelle sere di fine giugno; sempre caro rimarrà impresso nella mia mente il ricordo di mio nonno che mi veniva a prendere da casa perché era quasi d’obbligo assistere e partecipare fattivamente a questa operazione.
Ma è il simulacro della Patrona che riempie i volumi della nave d’oro con la sua plasticità resa ancora più leggiadra dal mantello, legato ai piedi degli angeli che incornicia la statua rivestita d’oro che luccica di riflessi rossi e gialli stagliandosi sullo smalto azzurro della volta della vara.
Il Mantello della madonna.
Il simulacro della Patrona ebbe due veli in argento filato su ricamo, uno del 1618 e l’altro ordinato a Messina nel 1626, mentre il prezioso manto che avvolgeva la statua quando era posta sulla vara, aveva 570 stelle d’argento e risaliva al 1682, probabilmente simile a quello in foto sotto pubblicata.
Generazioni passate ricordano altri mantelli conservati nei cassettoni del Duomo, tutti aventi come disegni e decorazioni stelle, angeli, spighe di grano, fiori o gigli.
Le nostre generazioni, invece, possono ricordare perfettamente uno dei manti, tutto fatto con fili d’oro con ricamo e scritte cucite a mano in uso il 2 luglio e Madonna “a Muntata” fino al 1994 e, per ultimo, il mantello tutt’ora utilizzato nelle processioni esterne in cui viene raffigurara la Visitazione.